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sabato 18 febbraio 2012

Scemo #2

Qualche anno prima che mi venisse la sciagurata idea di rinchiudermi in seminario, dove avrei vissuto per anni rendendo cotidie laudi a Domineddio, forgiando il carattere nella preghiera, nella carità, sorbendomi una messa al giorno, una confessione ogni due settimane, un bicchiere d'aranciata al pranzo del giovedì, la pizza al martedì, qualche clandestina birra notturna al circolino di Città Alta, etc. etc., con pensieri ed azioni volte al solo sereno esercizio di castità e purezza (questa è una sonora cazzata), qualche anno prima, dicevo, conducevo una vita più o meno normale come ogni ragazzino della mia età. Di ragazzini della mia età vicino a casa mia c'era l'Ettore, detto Ettore "Pegàzza" perchè discendente dall'omonima nobile famiglia (da noi ogni famiglia ha un soprannome che non sai mai se puoi dirlo o meno: qualcuno lo accetta di buon grado e se ne fa un vanto, qualcun altro si incazza come una biscia). Comunque l'Ettore dei miei coscritti era quello che abitava più vicino, giù al "Padagrìs". Poi c'era Domenico che abitava in alto, al "Rizzolo", e il Roby che abitava al "Piazzo". Ma erano troppo lontani per incursioni brevi. Per quelle c'era l'Ettore. All'occasione si aggiungeva suo fratello, il Beppe, due anni più grande, fanatico Atalantino, oppure l'Andrea "Stéla", suo coscritto e fratello della Consuelo, coscritta nostra, che però non era spagnola. Poi c'era il Matteo "Barbisù", il Silvio "Barbàia", il Luca Rossi, un pò di gente insomma. Il mio soprannome è "Genàro" ma non l'ho mai sentito dire. Forse neanche gli altri hanno mai sentito i loro. Anche perchè, se ti sbagli a dire il soprannome, non sempre ti va bene: qualcuno lo accetta di buon grado e se ne fa un vanto, qualcun altro si incazza come una biscia.
Siccome non c'erano facebook e puttanate varie, a quei tempi si giocava fuori per strada o per i boschi. Noi in particolare avevamo come punto di riferimento il grande parcheggio del "Moderno", il bar gestito dai "Barbisù" con un glorioso passato da albergo per i birri milanesi che passavano la stagione balneare (????) da noi. Mia mamma mi raccontava che, quando i danarosi birri arrivavano, mia nonna la costringeva ad andare ad aiutarli a scaricare le valige dalle corriere in modo che racimolasse qualche mancia. Oh, non sparate subito la sentenza di sfruttamento minorile: le economie famigliari non conoscevano ancora forme di capitalismo nucleare interno. C'era piuttosto una sorta di comunismo domestico, ci si dava una mano anche così una volta. E comunque avessimo dato ascolto a mia nonna adesso saremmo un tour operator.
Ma torniamo al parcheggio. Sul parcheggio si faceva di tutto, dal nascondino al "prendersi", al rialzo, al toc, ma soprattutto partite all'asfaltacalcio. Che è come il calcio normale solo che se cadi ti sbucci di più. Il campo è di regola un poligono irregolare e c'è da prendere a pallonate le macchine parcheggiate. Si gioca rigorosamente su terreno asfaltato. Mica come il calcio normale. Quella è roba da fighette col cerchietto nei capelli. La porta è la "clèr" (saracinesca) di un garage che dà sul parcheggio. Si gioca in due squadre ma il portiere è uno solo e rigorosamente neutrale. Anche perchè la clèr è una sola.
Il parcheggio però si prestava agli usi più svariati.
Una sera d'estate che il sole si attardava ridente sulla gobba del Tesoro sopra Costa, decidemmo di usare la clèr del parcheggio del Moderno per una gara con le bici. Anzi, più che una gara trattavasi di vera e propria prova di coraggio. Bisognava partire dal fondo del piazzale e pedalare a tutta birra fino alla clèr. Vinceva chi inchiodava il più tardi possibile. Lo scarto dalla clér si misurava in suole di scarpa, possibilmente i numeri più piccoli.
Parte il Giuseppe, fratello dell'Ettore, sgomma in stacco sulla sabbietta in limitar di strada, accellera con veemenza e scarta all'ultimo con frenata laterale posteriore: 5 suole; non copre nemmeno il marciapiede di cemento tra l'asfalto e la clèr.
Ettore. Partenza, impennata a due sussulti, accellerazione spasmodica, frenata articolata con impuntata su ruota anteriore e sollevamento su ruota posteriore: 2 suole, molto buono.
Matteo "Barbisù". Largo giro di ricognizione, rincorsa, decisa virata verso la clèr, retroinchiodata con scarto laterale che lambisce la clèr, lieve sussulto della lamiera, sgommata di ripartenza; praticamente ha vinto e con eleganza.
Andrea "Stela". Graziella d'ordinanza; partenza fiacca e progressiva accellerazione, clamorosa inchiodata con ruota anteriore, rischiosissimo slittamento laterale, controllo allabenemeglio, uscita: 8 suole, scarso.
Io. Bici cross "Re de Foss", freni a tamburo e forcella ammortizzata telescopica modello "dune". Sollevamento sui pedali, poderosa spinta da fermo, sostanziale perdita completa di potenza, tramutata secondo il principio di conservazione della massa, in sgommata. Ripresa con foga, accellerazione, impuntamento sui pedali, avvicinamento ultrasonico, freno a tamburo, no, freno a tamburo, no, freno a tamburo, no freno a tamburo fanculovincoio! ...Clèr!
Vittoria!
Rientro a casa felice con moto sussultorio in stile cammello. Ruota anteriore fieramente ovale.
Scemo ancora.