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sabato 30 agosto 2014

Il boicottaggio del canto mancato

Vi racconto di un canto. E di come mi fu di grande giovamento (per dirla con gli antichi).
È un canto che si canta in coro, ma volendo anche semplicemente da soli, sotto la doccia, mentre si falcia, mentre si temporeggia alla fermata del bus o si fischietta per nascondere di averla fatta grossa; è un canto fantastico, avendolo scritto io.
No questa è una bugia; non il fatto che sia fantastico, ma che l'abbia scritto io. Io ho solo aggiustato la metrica e messo la musica; il testo me lo portò ormai parecchi anni fa il Francesco Roncalli di Cà Loz, detto "Biscio". "Arda se te ghe rìet a fà det vergòt!" mi disse. Che non era uno sproloquio, come potrebbe sembrare, ma un invito a ricavarci qualcosa di musicale.
Ormai sono 15 anni da che mi sono messo a dirigere il coro della Combricola, che un tempo era un gruppo di amici camminatori e canterini e molto altro, e poi è diventato il Coro CAI Valle Imagna. Per me è praticamente una seconda famiglia, e non starò a dilungarmi sulla sua storia perché ciò merita come minimo un altro post, che scriverò come sempre nella prossima pausa tra i miei connaturati picchi di pigrizia creativa.
Insomma, fin da subito, quando iniziammo il coro, il Biscio iniziò a produrre testi poetici, fatti di immagini plastiche, ruspanti, genuine e profonde. Esattamente impastate quindi della natura del canto popolare.
Un giorno quindi mi arrivò con un fantastico notturno dedicato alla Valle Imagna; ci lavorai e ne venne "Aldemagna al ciar de lüna". Ormai lo avremo cantato qualche miliardo di volte, e più lo sento... "più ti piace!" direte voi. 
Ebbene no, più lo sento, e più mi convinco che sono un cazzone e che avrei potuto scriverlo decisamente meglio. La storia della musica è piena di testi alla cui mediocrità ha riparato mirabilmente la veste sonora; il mio è precisamente il caso opposto: il testo salva una scrittura musicale che è a dir poco immatura, spigolosa, ruspante. Ma, potenza della sinergia creativa, il canto ha un suo fascino.
Tutto ciò venne immortalato, complice ignaro mio padre, durante una delle numerose avventure del coro.

Non mi ricordo esattamente che anno fosse; il coro della Combricola venne invitato a cantare ad un cenone di capodanno alla Villa Ortensie di Sant'Omobono Terme, la storica villa "dol sciùr Rossi", con annessa porcilaia, poi riattata a Hotel Termale, sita dopo Cà Bertola, sopra le altrettanto storiche terme solforose comunali. Tra parentesi, è di assoluto fascino il fatto che, tra zolfo e porcelli, l'acqua della fonte abbia acquisito le tanto decantate proprietà benefiche. (Bevetevela voi, comunque).

Insomma, venimmo invitati a questo capodanno. Fu un evento mondano a tutti gli effetti, con vips vari, credo pure politici. Il tutto venne poi ripreso da TeleLombardia. Il coro ovviamente fremeva; la sola idea di comparire in televisione dava alla testa, nemmeno fossimo stati invitati a San Remo.
Io, scettico per natura, uso a vistose punte di cinismo e paranoia, avevo accettato la cosa di malavoglia; di TeleLombardia francamente non me ne poteva fottere di meno e il nome di quella televisione mi faceva solo venire in mente le pubblicità dei telefoni erotici che guardavo di nascosto nottetempo da ormonale adolescente. Tra l'altro venivamo già da un'esperienza televisiva deprimente vissuta grazie alla stessa simpatica rete, invitati a partecipare nel contesto di un contenitore di "musica popolare", durante il quale, in due ore e passa di trasmissione, cantammo forse un paio di pezzi, e per il resto facemmo da fondale rustico, rigorosamente in piedi, ad artisti di chiara fama quali I Girasoli, I CantaMilano, Enrico Musiani, Tex Willer, Paperoga e via dicendo. Delle telefoniste erotiche, ovviamente, nessuna traccia.
Ad ogni modo, i ragazzi erano troppo entusiasti, e in qualche modo glielo dovevo, anche solo come ricompensa per la sempre ammirevole dedizione al coro. Quindi, eccoci al capodanno. Destino volle che quella sera avessi 39 di febbre e un raffreddore epocale, ma mi toccò esserci uguale.
Essendo ambientata la trasmissione nel cuore della valle, per far sentire un sano prodotto locale, volli far cantare precisamente "Aldemagna al ciar de lüna". Ma l'imprevisto si verificò nel momento esatto in cui ci apprestammo al canto. All'epoca, ogni brano veniva introdotto da una presentazione di mio papà; si sfilava dal coro, inforcava gli occhiali, leggeva gli appunti scritti coscienziosamente di suo pugno, riponeva gli occhiali e ritornava nel coro; quindi si attaccava.
Quella volta, come molte altre volte del resto, fece però di testa sua. Anzichè leggere solo la breve presentazione, probabilmente considerando che saremmo volati nel network globale, decise che doveva leggere tutto il testo del canto, in modo da facilitare l'uditorio mondiale nell'ascolto; e poichè il canto è in dialetto valdimagnino, dopo il testo lesse anche la traduzione. I tempi televisivi, si sa, sono incalzanti. Se ti dicono "2 minuti", quelli sono. Avvenne allora che mentre mio papà leggeva tranquillo, declamando beato il suo testo, il regista e il presentatore presero a scalpitare e imprecare silenziosamente con la bava alla bocca. Volevano il canto loro, mica una lettura poetica. Io intontito dalla febbre, ero imbarazzatissimo. Finito di leggere il testo con lentezza salmodica, mio papà si tolse gli occhiali e come fece per ritornare nel coro, pronto ad intonare il canto, si sentì uno scroscio di applausi. La claque era partita, ci fu il lancio della pubblicità, la trasmissione venne sospesa. Il presentatore, un tipo belloccio dalla faccia incazzata sempre, con l'aria di uno che non sai mai se ti stia prendendo per il culo (tra l'altro ora fa il politico, mi pare), ci diede una bella lavata di capo. La nostra esibizione era finita. Del bel canto si poté sentire solo il testo recitato. Profetico, direi, no?

Ovviamente, capirete, all'epoca mi incazzai come una iena con mio papà. Oggi ho una visione completamente opposta di quella vicenda. Mi piace pensare che mio papà abbia voluto boicottare quella orribile trasmissione e tutto il mondo fittizio della televisione di matrice commerciale, fatto di sorrisi e applausi finti, di puro estetismo senza alcuna sostanza, lanciando un monito al coro: "non ficcatevi più in puttanate del genere". E così è stato.
Così, ecco come, contro la frenesia del tutto e subito e del "ciò che il pubblico vuole", mio papà si mise a leggere con calma granitica un delicato testo valdimagnino, che inneggia al silenzio e alla contemplazione notturni.
A ripensarci, sorrido di gusto.

Ecco il testo:

Quando'l sul el se slontana,
pusa i fò dol Pertusì
entat che'l Pai le specia i stele,
berlùs ol ciel du blö turchì...
Belasì spunta la lüna,
fò söl col de Malanòc 
col Rasigù de sentenèla
che'l fa la guardia dè e noc...

La rösada sura i piöde
ol so ciar la fa berlùs
la Aldemagna la se stèma,
la fa de spec al sò bel müs 
Suna i ure i campane,
canta i gai fo 'ndi polèr
senza rumur se smorsa e stele
e belasì se sveglia'l sul...

Aldemagna al ciar de lüna
al ciar de lüna e sota e stele
te sì öna di piö bèle.

E la traduzione

Quando il sole si allontana
dietro i faggi del Pertusì
mentre la Costa del Palio aspetta le stelle
il cielo splende d'un blu turchese.
Pian piano spunta la luna
sopra il Colle della Malanotte
con il Resegone di sentinella
che fa la guardia giorno e notte

La rugiada sopra i tetti
fa risplendere il suo chiarore
la Valle Imagna se ne gode
e diventa uno specchio al volto lunare.
Le campane suonano le ore
cantano i galli nei pollai
senza rumore si spengono le stelle
e pian piano si sveglia il sole. 

Valle Imagna al chiaro di luna
al chiaro di luna e sotto le stelle
sei una tra le più belle.

E già che ci siamo, la cantiamo: