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martedì 8 aprile 2014

Carnevale (odio il)

Odio il carnevale. Visceralmente. Non è un odio immotivato; c'è un'antipatia a pelle che risale alla mia infanzia e, credo, alla mia prima delusione amorosa.
Credo fossero i primi anni delle elementari; e come in tutte le scuole elementari che si rispettino, tutti bisognava fare il carnevale. Un dictat che se non rispettato precludeva l'accettazione nel gruppo. Vestirsi da deficienti, soffiare stelle filanti, lanciare coriandoli, mangiare chiacchiere, scherzare per forza, giochi di gruppo, felicità fittizia benevolmente esposta.
L'unica cosa che mi piaceva del carnevale era che la nostra maestra poi, nel pomeriggio del martedì grasso, ci invitava a casa sua e si faceva una festa solo per la nostra classe; c'erano un sacco di cose da mangiare e io scoprivo i popcorn e la coca cola, che era tabù perchè, dicevano, conteneva una droga che creava dipendenza e per la mia mente ingenua e bambina era un attimo rivestirla con il fascino del proibito e del peccato.
A casa della mia maestra c'erano un sacco di cose che non avevo mai visto, anche una tastiera bontempi a ventola con i pulsanti per gli accordi che per me aveva il fascino di un Cavaille-Coll. C'erano le sue figlie che erano più grandi e già molto belle e noi le si vedeva come due principesse già use al mondo, perché erano le figlie della maestra, e perché probabilmente mangiavano popcorn e coca cola tutti i giorni.
Ma soprattutto a casa della mia maestra c'era la mia maestra, che io adoravo. Ma adoravo proprio; e la mia non era solo stima e rispettosa venerazione per colei che cercò di piantarmi nel cervello i pilastri dell'istruzione e della cultura. Era molto di più; insomma, io ritenevo la mia maestra una gran gnocca.
E allora ogni pretesto era buono per farmi bello ai suoi occhi; ed ero gelosissimo. Cercavo di primeggiare in tutto perché lei mi notasse.
Quell' "in tutto" aveva ovviamente oggettive limitazioni; una su tutte era la ginnastica, in cui sono sempre stato una vera schiappa, mentre i miei compagni maschi erano a confronto degli stambecchi. Soprattutto il Domenico e il Roberto, che correvano come degli ebefrenici e avevano una resistenza fisica da balilla. Domenico poi aveva inventato un modo di correre che invece del comune pugno-chiuso-avambracci-alti-in-alternanza, prevedeva avambracci ribassati, sempre in alternanza, con l'estensione del palmo delle mani a dita unite. "Si taglia l'aria, così" diceva. 
Quando si giocava a "Prendersi" o a "Toc" - evoluzione del Prendersi in senso futurista, sia per la velocità dell'azione che non richiedeva l'afferrare ma anche un semplice sfiorare, sia per la sostituzione dell'infinito riflessivo sostantivato con l'onomatopea - era impossibile sfuggirgli. Era anche un maestro del "ri-Toc"; cioè, quando si veniva presi, o meglio, "toc-cati", se si era abbastanza veloci, si poteva subito "ri-Toc-care" il cacciatore che non era stato abbastanza svelto nello scappare dopo la "Toc-cata". Se eri cacciatore e avevi il culo di raggiungere il Domenico e sferrargli un Toc, manco ti accorgevi, che lui ti aveva già rifilato un ri-Toc e contemporaneamente sfondato lo sterno.
Domenico tra l'altro, a palla prigioniera, tirava di quelle sberle che ti stendeva sulla ghiaia del cortile e restavi lì mezzo morto finchè non arrivava la bidella al pomeriggio a dirti che la scuola era finita ed erano iniziate le vacanze. Un giorno cercai di emularlo, mi uscì un tiro della madonna, ma presi dritta dritta in pancia la Patrizia, che tra l'altro era la mia morosina, e che quindi non mi guardò più per una settimana almeno.
Il Roby poi aveva anche le mucche; e quindi, quando si faceva scienze, lui era sempre sulla bocca della maestra perché lui era un esperto di animali. Cioè, i suoi aveva un allevamento bovino e di diritto lui aveva anche una laurea in scienze agrarie? Che cazzo di logica. Poi un giorno si organizzò addirittura una gita d'istruzione al Piazzo dove aveva casa, terreni, stalla. Insomma, fu dio per un giorno. Per me, l'inferno. Ovvio.
Anche l'Ettore era più veloce di me, ma con lui ero più indulgente, se non altro per questioni territoriali, essendo entrambi del Pa-da-gris. Finita scuola, io e lui avevamo il privilegio di salutare per ben due volte la maestra, sissignori. Finita scuola la maestra saliva sulla sua Lancia Delta HF e partiva alla volta di casa, a Selino basso; la strada che doveva fare era dunque dalla Piazza Mazzoleni, arrivare giù al Centrale, svoltare a destra e imboccare il Viale alle Fonti. Il nostro territorio. Allora, noi prima si salutava il Delta HF tutti insieme in piazza. Poi il Roby passava la Morla e andava verso il Piazzo mentre il Domenico si arrampicava su per il Rizzolo con le donne della alta; e io, l'Ettore, la Consuelo e la Federica giù per la scorciatoia a volo spaccacaviglie, taglia il Pettola sul ponticello, sbuca a lato del vecchio filatoio, su alla svelta sul provinciale, e vai col secondo saluto alla maestra che passava. Solo che io arrivavo ultimo; e quindi praticamente salutavo il baule del Delta HF.
In tutto ciò, non mi rimaneva allora che essere perfetto a scuola. E devo dire che non me la cavavo male. Ma testone come pochi, finivo in eccessi. Come quella volta in geografia. Reduce da una verifica praticamente perfetta sulla montagna, avevo abbracciato il partito montano a tal punto che rigettai totalmente la controparte, ossia il mare, bollandolo come roba da femminucce. Notoriamente la montagna è più maschia, no? Così, militante del Nuovo Partito Montano, lanciai filippiche contro tutto ciò che aveva sentori marini, arrivando pure a rifiutarmi di svolgere verifiche sull'argomento; fu poi la maestra a condurmi a più miti consigli.
La mia gelosia si riversava anche su concorrenti più importanti; in terza elementare infatti arrivò il maestro di matematica. Il terribile maestro Rosario, che era la versione siciliana di Antonello Venditti. Non che facesse alcunché di strano per alimentare chissàcchè gelosia; però era un pari della maestra, e forse anche un po' beccone, e quindi lo si guardava con sospetto.
Lui non dava voti secondo la normale scala riconosciuta di male, bene, bravo, bravissimo, ottimo e declinazioni varie. No, se andavi bene lui dava "ok!", una parolina che sapeva di moderno e che quindi era tabù quasi come la coca cola della maestra. Se andavi male dava "male". Così ti ritrovavi, già in tenera età, incasellato in un inequivocabile schema manicheo. O pecora o capro. Inoltre il maestro aveva un'ossessione per le biro "Bic" e aveva avviato una vera e propria campagna di eliminazione sistematica delle Papermate cancellabili. "Solo Bic!" era il suo motto; tant'è che ci venne il dubbio che avesse qualche interesse a riguardo; tipo che acquistasse azioni Bic in borsa o roba del genere.
Comunque, per tornare al carnevale. Fu proprio in occasione di una di queste insulse ricorrenze che, colto da trauma, mi risolvetti di desistere dalle mie mire conquistatorie. 
Eravamo in piazza. La festa impazzava e tutti si ostentava allegria. Non so come, ma qualcuno doveva aver avviato un giochino coi coriandoli che contagiò anche la maestra. Il giochino consisteva nel chiamare uno alle spalle, farlo girare e di botto lanciargli una manciata di coriandoli in faccia. Fu così che totalmente ignaro mi sentìi chiamare da dietro dalla maestra, mi girai istantaneo e, forse complici le adenoidi, mi ritrovai un pugno di coriandoli in gola gettati dalla mano di lei. Tutti a ridere. Io a sputacchiare invece, e trattenere i lacrimoni, perchè colei mi aveva tradito.
È precisamente per questo che odio profondamente il carnevale.  




prima fila, da sinistra: Patrizia, Roberto, Federica, Ettore;
seconda fila, da sinistra: Moira, Elena, Consuelo, Irene;
terza fila, da sinistra: Io, maestra Tiziana, Domenico.